di Alberto Zanetti
Come si fa a trasformare in musica l’atmosfera di un romanzo noir? L’abbiamo chiesto a Marco Cappelli del quintetto “avant” newyorkese The Nesbø Project che sabato 16 febbraio salirà sul palco del Nuovo Cinema Teatro Italia di Soliera (MO) con un concerto omaggio allo scrittore norvegese Jo Nesbø.
Noir e jazz si parlano da tanto… secondo voi cosa si “dicono”?
È vero: noir e jazz sono due vasi comunicanti, soprattutto se si pensa al cinema e alle tante colonne sonore con orchestrazioni dal sapore classico (nel senso jazzistico del termine). Ma la nostra operazione ha qualcosa di diverso. Per i tre progetti del Marco Cappelli Acoustic Trio, ho scelto tre scrittori a ognuno dei quali è stato dedicato un disco monografico: “Le Nuages en France” (Mode Records, 2011) è dedicato a Fred Vargas, “Le stagioni del Commissario Ricciardi” (Tzadik, 2013) a Maurizio De Giovanni e “Norwegian Landscapes” a Jo Nesbø (Da Vinci Jazz, 2018). Questi autori, diversissimi tra loro, hanno in comune la profonda attenzione per la psicologia dei propri personaggi e una spiccata sensibilità a temi politici e sociali. La nostra musica lavora su questa vena interiore nel tentativo di rendere udibile ciò che risuona nella loro anima, e l’improvvisazione diventa il mezzo migliore per esprimere noi stessi all’interno del gruppo.
Allo stesso tempo questo binomio è una delle grandi “chiavi” della cultura statunitense: è ancora così? E cosa vi aggiunge la dimensione internazionale sia degli scrittori che degli interpreti che, come voi, provengono da diverse parti del mondo?
Credo che, in linea di massima, si possa rispondere sì alla prima parte della tua domanda, anche se non ho una cultura musicologica tale da poterlo affermare con sicurezza. Per quanto riguarda noi musicisti appartenenti alla scena artistica di New York, città dove tutti viviamo e lavoriamo, il melting pot è una condizione assolutamente normale e quotidiana che oramai do per scontata. Sicuramente questo influenza la musica che facciamo, anche se non saprei dire precisamente in che modo, so solamente che suono così perché sono a New York da anni e forse farei tutt’altra musica se avessi scelto un altro posto per vivere. E non parlo di virtuosismo, intendiamoci, ma di una maniera di intendere la musica: ascoltarla ascoltandosi, trovando sempre soluzioni nuove.
Come si traducono le caratteristiche letterarie (suspence, atmosfera, intreccio) in musica? In che modo influisce il particolare stile di un autore?
Influisce in modo molto personale: il filtro è sempre una visione – in questo caso, la mia – che non segue per forza dei percorsi logici per esprimersi. In altre parole: la ricerca del suono dell’anima dei personaggi di cui parlavo prima non segue un percorso descrittivo, piuttosto si tratta di un gioco di libere associazioni ed è per questo che è estremamente personale.
“Norvegian Landscapes”, l’album dedicato a Jo Nesbø, è il terzo di questa serie: cosa vi ha colpito dello scrittore nordico? Lo avete conosciuto?
L’ho conosciuto a Oslo qualche anno fa, mentre ero in tour con un altro mio gruppo (Italian Surf Academy) e l’idea di questo ciclo di composizioni dedicate alla saga di Harry Hole aveva appena cominciato la sua gestazione. Di Nesbø e del suo stile letterario mi ha colpito l’equilibrio tra poesia e crudezza, con delle venature dark che mi hanno suggerito di ampliare la tessitura sonora in questo progetto con l’aggiunta dei clarinetti di Oscar Noriega, l’elettronica di Shoko Nagai e quella di DJ Olive (su disco) al contrabbasso e alle percussioni. Con ognuno di loro ho già suonato in altre situazioni, la scena newyorkese è tutta fatta di cunicoli sotterranei comunicanti per cui tutti suonano con tutti. A ogni modo, per quanto riguarda Jo Nesbø, rimando i lettori all’edizione di Repubblica (Robinson) di domenica scorsa, nella quale è stata pubblicata una mia conversazione con lo scrittore in persona.
Cosa si deve aspettare il pubblico da una serata di questo tipo? Che rapporto avete con i lettori che spesso sono molto esigenti con le trasposizioni – pensiamo a quelle cinematografiche – dei loro autori preferiti?
Direi al pubblico di disporsi semplicemente con curiosità all’ascolto di una musica che, secondo me, coniuga la complessità di un linguaggio musicale contemporaneo all’improvvisazione e all’identità ritmica jazzistica, senza trascurare spunti melodici. Mi preme sottolineare che il riferimento letterario è lo spunto del nostro viaggio musicale: protagonista rimane la musica e solo ascoltandola ognuno può vivere il suo personale viaggio in questo universo.
Il vostro ensemble è protagonista dell’ambiente “avant” newyorchese: incidete per l’etichetta di John Zorn, suonate in club di riferimento… cosa si prova a far parte di questa situazione da sempre leggendaria? Che aria si respira nel 2019 nella Grande Mela?
New York cambia in continuazione, vivo qui da dieci anni (o poco più) e oggi mi ritrovo davanti una città profondamente diversa sotto tanti punti di vista, non solamente artistici. Non sempre i cambiamenti sono positivi, secondo me, ma la verità è che la Grande Mela rimane un posto capace di attrarre ancora moltissimi artisti. Continua a essere crocevia per la musica e fucina di esperienze. Prendiamo il mio caso: non avrei mai incontrato i miei compagni di viaggio se non vivessi qui a New York. Solo dal connubio artistico di livello così alto ed eterogeneo può nascere una musica profondamente originale.
(16 febbraio 2019)
Info: Marco Cappelli (pagina Facebook)