di Kos Tedde
Mica vero che la casa sia raccoglimento, lettura e contemplazione. I dispositivi sono proprio qui che vibrano, trillano, lampeggiano, notificano.
E rinchiusi siamo già da un po’ (ordinanze o meno).
Perciò grande è il disordine, la libreria straripa e mi fa cadere addosso, non solo metaforicamente, i seguenti libri.
Mi sono reso conto che sono tutti pazzi e strani e forse non fanno bene. Non leggeteli. Meglio una serie tv.
Jerusalem di Alan Moore (2018)
Non l’ho letto, ma mi ossessiona da quando è uscito poco più di un anno fa con le sue 1600 pagine fitte fitte, la copertina nera e imponente come un monolite, la fama minacciosa di opera-mondo partorita dalla mente visionaria del creatore di “Watchmen”. Un libro per cui le dimensioni contano: grande formato, peso di almeno un 1,5 kg, un giorno in libreria l’ho usato per un curl alternato per i bicipiti. Se non è tempo ora per queste imprese, quando? E già i sette volumi della Recherche strizzano l’occhio… Grand Slam?
Melancolia della resistenza di László Krasznahorkai (1989)
Sciorinare in qualsiasi consesso sociale un titolo come questo garantisce la lode, anche se non si merita il 30. E poi sbaraglia qualsiasi snobismo del tipo: “I libri andrebbero apprezzati nella lingua originale”, visto che è scritto in ungherese, idioma non indoeuropeo quasi impossibile. Qualcosa tra Bernhard, Walser e Kafka che parla di un circo misterioso, una gigantesca balena, una città in preda a disordini, un musicista sulla via dell’insania filosofante, un idiota sulla quella della dannazione. Insomma una corroborante passeggiata…
I miei amici di Emmanuel Bove
Dono ideale per qualsiasi birthday party, sogno irrealizzato di Handke und Wenders, gioiello di lieve, empatica infelicità. Le miserabili avventure parigine del reduce Victor Baton nella Parigi del primo dopoguerra sono le livre de chevet e l’anti-monumento per falliti, discreti, miti, sfortunati, silenziosi, “dimagriti, declassati, sottomessi, disgregati”. Ma soprattutto per “quanti giovani ancora non abbiano messo il proprio Dio nella propria carriera”.
Anni senza fine di Clifford D. Simak (1953)
Allora: l’umanità (ricca…) prende la vie delle campagne, poi quella di Giove dove si trasforma in entità aliena e raggiunge una specie di nirvana. La Terra è dominata intanto dai cani cui l’Uomo aveva donato la parola. I cani sono aiutati dai robot; entrambi venerano come un essere mitologico l’antico padrone. Che però ha in qualche modo hanno conferito l’intelligenza anche alle formiche che migliaia di anni dopo avranno la meglio. Per poi scomparire anch’esse davanti agli occhi dell’ultimo robot. Otto capitoli clamorosi, psichedelici e commoventi. Ante Philip K. Dick.
L’angelo più malinconico di Massimo Raffaeli (2015)
D’accordo il record di staticità. Ma un po’ di sport almeno facciamolo sulla pagina. Non molti conoscono Massimo Raffaeli. Male. È filologo e critico letterario, storico collaboratore del Manifesto, esperto di poesia, Celine e letteratura francese. E ha scritto alcune delle pagine più belle sul calcio uscite negli ultimi decenni in Italia. Nei suoi articoli qui raccolti il gioco si mescola con meditata eleganza a storia, letteratura, politica. Sempre con un punto di vista (e di parte…) che fissa gesta ed eroi come l’angelo di Paul Klee (e Walter Benjamin): con le spalle al futuro verso cui è trascinato contemplando la catastrofe che monta.
L’armata a cavallo di Isak Babel (1926)
La rivoluzione è la fame, il freddo, i cavalli, un pittore girovago, un bottegaio ebreo, un’amicizia spezzata, l’amore tra gli spari e nelle retrovie, la carica cosacca, un paesaggio di colori e stupori, una roba feroce, il tradimento e l’estasi… La rivoluzione è anche questo insuperabile diario di guerra, magari da abbinare al leggendario romanzo di Andrej P. Platonov “Cevengur”. Naturalmente, l’autore fu liquidato nella Grande Purga.
L’oppio del popolo di Goffredo Fofi (2019)
La cultura non salverà il mondo. Ma dobbiamo salvare il mondo dalla cultura? Un vecchio purosangue come Fofi – critico, fondatore di riviste e scopritore di talenti – lancia l’allarme e picchia duro contro lo sbornia di eventi, la comunicazione, i festival, gli assessorati, l’accademia, le capitali della cultura, i diritti alla bellezza che saturano il nostro tempo. Siamo davvero piccoli uomini a una dimensione, con i nostri consumi, con le nostre viltà e consolazioni. Ma come uscire dalla cultura senza incultura? A voi.
Un weekend postmoderno di Piervittorio Tondelli (1990)
Funziona ancora questo zibaldone o palinsesto o montaggio assemblato poco prima della fine dall’autore di “Altri Libertini”? All’inizio degli anni ‘90 suscitò tante vocazioni, ci fece scoprire John Fante e William Borroughs, Peter Handke e i CCCP, confermandoci nella devozione per Kerouac e nella possibilità di parlare di Correggio o Carpi alla stregua di Frisco o Des Moines. Un modo di raccontare i propri autori che è anche raccontar se stessi. E allora “Bando a isterismi, depressioni scoglianature smaronamenti. Cercatevi il vostro odore eppoi ci saran fortune e buoni fulmini sulla strada”.
Lo sguardo ostinato. Riflessioni di un cinefilo di Serge Daney
Abbiamo i film, ma abbiamo perso il cinema. O meglio, come ha recentemente osservato Alberto Pezzotta, la “cultura del cinema”. Era inevitabile. Ma fa male. E lo storico animatore dei Cahiers du Cinéma ce lo ricorda con una parabola esemplare e struggente: cine-figlio della sala e delle riviste, di Fritz Lang e Roberto Rossellini, amante dell’Africa, dell’India e del tennis, militante, interlocutore da pari di Godard, Deleuze e Foucault, sconfitto in corpo a corpo estremo con la televisione. Potresti innamorarti di tutto questo. Ma abbiamo perso il cinema “e qua, amico mio, non ritrovamo proprio un cazzo”.
Rote Armee Fraktion di Stefan Aust (2008)
Che ne sapete degli anni ‘70? Da noi: orda d’oro o anni di piombo? E gli altri? La Germania Ovest fu attraversata dalla parabola della RAF: maoismo, guerriglia urbana, attentati dinamitardi, dirottamenti aerei, settembri neri, carceri speciali, fughe, cacce, rapimenti, tanti morti, prime, seconde e terze generazioni. Nulla sarebbe stato più come prima. Questo libro è sobrio, affilato, informatissimo e corre sparato come una BMW sull’autobahn. Da leggere con Kosmische Musik in sottofondo, baffi lunghi, eskimo e qualche film di Fassbinder o Syberberg sulla rivoluzione.
(25 febbraio 2020)