Secondo il nuovo Dpcm in vigore dal 6 novembre e fino al 3 dicembre 2020 «sono sospesi le mostre e i servizi di apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura di cui all’articolo 101 del codice dei beni culturali e del paesaggio».
Sono momenti difficili, sappiamo bene.
Si soffre, chi più chi meno (beati i meno).
Le ultime decisioni del governo italiano e di quelli degli altri stati a noi vicini hanno ristretto nuovamente gli orizzonti delle nostre vite e non tutti possiamo improvvisarci dei Salgari continuamente in viaggio con la mente verso paesi lontani ed esotici. Salgari peraltro si suicidò, insomma, non è che stesse benissimo in fin dei conti.
Nella nuova serrata “culturale” sono stati per ora risparmiati i musei, le mostre.
Alle mostre quindi dedichiamo questo spazio, con il criterio di non muoversi troppo lontano, viste le raccomandazioni governative.
Sicché abbiamo pensato esclusivamente alle mostre emiliano-romagnole, che è la regione che ci ospita, scegliendo una mostra per ogni provincia per il prossimo fine settimana.
Il Museo dell’Emigrazione a Piacenza
Dallo scorso primo dicembre, Piacenza si è arricchita di un nuovo spazio culturale, interamente dedicato all’esperienza migratoria, uno dei fenomeni avvertiti con massima attenzione dalla società attuale.
All’interno della Casa madre dei Missionari Scalabriniani, infatti, ha aperto il MES – Museo dell’Emigrazione Scalabrini.
Si struttura come un percorso multimediale, interattivo e multisensoriale ideato dall’architetto Manuel Ferrari con contenuti multimediali di Twin Studio che, attraverso video, immagini e suoni, condurrà il visitatore ad approfondire il tema delle migrazioni, facendone comprendere il divenire storico, le dinamiche socio-politiche dal 1870 fino ad oggi, le soluzioni illuminate che un grande uomo di pensiero e azione come monsignor Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905), vescovo di Piacenza tra il 1876 e il 1905, definito il Padre dei migranti, ha saputo mettere in campo, mostrando come la sua azione sia ancora viva nel mondo, grazie all’operato delle congregazioni religiose e laiche da lui fondate.
L’esperienza migratoria è presentata nei suoi momenti salienti: dalla partenza con tutte le sofferenze legate al distacco dai propri cari e dalla propria terra, all’opera ignominiosa dei “sensali di carne umana”, come li definiva lo stesso Scalabrini, ai pericoli del viaggio, alle difficoltà d’inserimento in un paese straniero e spesso ostile che li costringeva ad accettare i lavori più umili e degradanti e ad affrontare ogni sorta di sacrifici per dare un futuro alla famiglia e per aiutare i parenti rimasti in patria.
“L’ultimo romantico” alla Magnani Rocca
La Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo dedica la mostra “L’ultimo romantico” al suo fondatore Luigi Magnani. Uomo di cultura tra i grandi della sua epoca, Magnani può essere legittimamente assunto a testimone di Parma Capitale Italiana della Cultura sotto la cui egida la mostra si svolge.
Luigi Magnani (1906 – 1984), uno dei massimi collezionisti di opere d’arte al mondo, nella sua casa delle meraviglie realizzò un vero Pantheon dei grandi artisti di ogni epoca, un tempio che si andò animando lentamente con l’acquisizione di dipinti e arredi unici, dai Morandi e i fondi oro degli inizi, poi il Tiziano, il Goya, fino al Monet, ai Renoir e al Canova degli ultimi anni della sua vita, in un processo di identificazione spirituale con le opere che giungevano ad abitare la sua dimora presso Parma come la scena della sua vita intellettuale.
La mostra, con oltre cento magnifiche opere provenienti da celebri musei e prestigiose collezioni, intende raccontare nei saloni destinati alle mostre temporanee – in parallelo alla sua Raccolta d’arte permanente, allestita nei saloni storici della Villa – la figura di Luigi Magnani, che amava il dialogo tra la pittura, la musica, la letteratura, attraverso i suoi interessi e le personalità che frequentò o alle quali si appassionò. Intellettuale di primo piano nella cultura italiana del Novecento, nonché frequentatore dei più esclusivi salotti del suo tempo, fu tra i fondatori di Italia Nostra.
A Reggio Emilia in mostra la staged photography
“True Fictions“, nelle sale di Palazzo Magnani a Reggio Emilia, è la prima mostra retrospettiva mai realizzata in Italia sul fenomeno della staged photography, la tendenza che a partire dagli anni Ottanta ha rivoluzionato il linguaggio fotografico e la collocazione della fotografia nell’ambito delle arti contemporanee.
La mostra presenta il lato più immaginifico della fotografia attraverso le invenzioni di alcuni tra i maggiori autori degli ultimi trent’anni e le sperimentazioni nate dall’avvento della tecnologia digitale.
Pesci rossi che invadono le stanze, cascate di ghiaccio nei deserti, città inventate, Marilyn Monroe e Lady D. che fanno la spesa insieme: più di cinquanta opere di grandi dimensioni dimostrano come la fotografia abbia raggiunto, fra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, vertici di fantasia e di invenzione prima affidati quasi esclusivamente al cinema e alla pittura.
Gli autori presenti in mostra, dai precursori e maestri di questo genere come Jeff Wall, Cindy Sherman, James Casebere, Sandy Skoglund, Yasumasa Morimura, Laurie Simmons, David Lachapelle, ai protagonisti della prima ora raramente visti in Italia come Bernard Faucon, Eileen Cowin, Bruce Charlesworth, David Levinthal fino ad arrivare a giovani, ma ormai affermati, come Paolo Ventura, Lori Nix, Miwa Yanagi, Alison Jackson, Alekasandr Petlura, Jung Yeondoo, Jiang Pengyi, dimostrano non solo la diffusione di questo linguaggio, ma anche la sua longevità.
William Henry Fox Talbot, pioniere della fotografia
“La fotografia è l’arte di fissare un’ombra” diceva William Henry Fox Talbot (1800-1877), l’inventore della fotografia su carta, al quale la Galleria Estensi di Modena dedicano la mostra “L’impronta del reale. William Henry Fox Talbot. Alle origini della fotografia”. Si tratta della prima grande retrospettiva italiana che documenta l’attività di questo pioniere della fotografia, mettendo a confronto il suo lavoro con quello di altri fotografi, artisti, scienziati, e documentando i suoi legami con l’Italia, in particolare con Modena.
Attraverso oltre 100 opere esposte, fra cui disegni fotogenici, calotipi, dagherrotipi, incisioni da dagherrotipi, fotografie contemporanee, la mostra ripercorre le esperienze che portarono alla nascita di questa nuova forma di rappresentazione della realtà. La rassegna propone anche la straordinaria corrispondenza autografa tra William Henry Fox Talbot e l’ottico, matematico, astronomo e studioso di scienze naturali modenese Giovanni Battista Amici (1786-1863), mostrando alcuni strumenti scientifici che furono alla base del rapporto fra i due inventori. Talbot intrattenne, infatti, con lo scienziato modenese, considerato il più importante costruttore italiano di strumenti ottici del XIX secolo, una relazione testimoniata da una serie di lettere e da alcune “prove fotografiche” conservate nella Biblioteca Estense, che l’inventore inglese donò ad Amici. Proprio il ritrovamento di questi materiali, avvenuto nel 1977, diede vita a una mostra curata da Italo Zannier che si tenne al Palazzo dei Musei di Modena.
A Bologna “Monet e gli Impressionisti”
A Palazzo Albergati, “Monet e gli Impressionisti. Capolavori dal Musée Marmottan Monet, Parigi“. 57 capolavori di Monet e dei maggiori esponenti dell’Impressionismo francese quali Manet, Renoir, Degas e molti altri, provenienti dal Musée Marmottan Monet di Parigi, noto nel mondo per essere la “casa dei grandi Impressionisti”.
Un’anteprima assoluta dal momento che, per la prima volta dalla sua fondazione nel 1934, il Museo parigino cede in prestito un corpus di opere uniche, molte delle quali mai esposte altrove nel mondo.
Principalmente Monet quindi, ma anche Manet, Renoir, Degas, Corot, Sisley, Caillebotte, Morisot, Boudin, Pissarro e Signac, in un percorso espositivo che vede primeggiare – accanto a capolavori cardine dell’impressionismo francese come Ritratto di Madame Ducros (1858) di Degas, Ritratto di Julie Manet (1894) di Renoir e Ninfee (1916-1919 ca.) di Monet – opere inedite per il grande pubblico perché mai uscite dal Musée Marmottan Monet. È il caso di Ritratto di Berthe Morisot distesa (1873) di Édouard Manet, Il ponte dell’Europa, Stazione Saint-Lazare (1877) di Claude Monet e Fanciulla seduta con cappello bianco (1884) di Pierre Auguste Renoir.
“Donne e fotografia tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta”
“Donne e fotografia tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta“, alla Palazzina Marfisa d’Este di Ferrara, presenta le opere di 13 fotografe italiane e internazionali: Paola Agosti, Diane Arbus, Letizia Battaglia, Giovanna Borgese, Lisetta Carmi, Carla Cerati, Françoise Demulder, Mari Mahr, Lori Sammartino, Chiara Samugheo, Leena Saraste, Francesca Woodman e Petra Wunderlich.
Il progetto si inserisce nella riflessione che dal 1984 l’UDI – Unione Donne in Italia, dedica alla creatività femminile in tutte le sue forme e linguaggi. Dopo le mostre che hanno presentato alcune delle artiste più rilevanti della scena internazionale, ultima delle quali Ketty La Rocca (2018), Attraversare l’immagine indagherà il mondo della fotografia al femminile mettendone in luce i filoni di ricerca più originali.
Fabrizio Dusi a Bagnacavallo
Mentre il capoluogo Ravenna è impegnata nel celebrare, giustamente, il sommo Dante, noi andiamo a una quindicina di chilometri, nella graziosa Bagnacavallo, dove al Museo Civico delle Cappuccine troviamo la mostra di Fabrizio Dusi, “Insieme al mondo Piangere, Ridere, Vivere“.
Una mostra che fa riflettere sui temi della della pandemia. Distanze e solidarietà, barriere e contatti mancati, solitudine e sostegno reciproco.
Artista, pittore e ceramista, che spazia da anni fra vari linguaggi, dalla scultura alle installazioni al neon, Dusi (nato a Sondrio, classe 1974, attivo a Milano) porta a Bagnacavallo un nucleo importante di lavori recenti e firma una monumentale installazione site-specific.
Una grande scritta luminosa al neon scorre sulla facciata del Palazzo Comunale, dipanando un messaggio ideale sotto le finestre neoclassiche e sopra la loggia affacciata su piazza della Libertà. «Insieme al mondo piangere, ridere, vivere» sono parole, tratte da una poesia di Rosita Vicari (curiosamente attribuita per molto tempo a Pablo Neruda), che toccano argomenti di grande attualità, come il distanziamento e, viceversa, il desiderio di tornare a riabbracciarci.
Oltre all’installazione pubblica che resterà poi patrimonio della cittadina, il percorso al Museo Civico delle Cappuccine parte dal suo celebre ciclo di «Bla Bla Bla» in ceramica smaltata, personaggi dai profili pop circondati da bollicine di parole vacue, allegoria di una comunicazione difficile, di un vociare senza senso nel mondo caotico delle relazioni odierne. Altri neon (fra cui una grande sagoma luminosa dell’Italia) realizzati ad hoc per la mostra, dedicati in questo caso alle geografie toccate dal virus e allontanate fra loro da una politica di frontiere chiuse, si alterneranno a una sequenza di dipinti su coperte isotermiche (allusione al tema degli esuli e dei migranti), con le regioni italiane unite da una sorte globale, pur nel dramma dell’isolamento.
“Ulisse. L’arte e il mito”, solo fino a sabato
Ai Musei San Domenico di Forlì, termina sabato, “Ulisse. L’arte e il mito“.
Mito che si è fatto storia e si è trasmutato in archetipo, idea, immagine. E che oggi, come nei millenni trascorsi, trova declinazioni, visuali, tagli di volta in volta diversi. Specchio delle ansie degli uomini e delle donne di ogni tempo.
La vasta ombra di Ulisse si è distesa sulla cultura d’Occidente. Dal Dante del XXVI Canto dell’Inferno allo Stanley Kubrick di 2001 – Odissea nello spazio, dal capitano Acab di Moby Dick alla Città degli Immortali di Borges, dal Tasso della Gerusalemme liberata alla Ulissiade di Leopold Bloom l’eroe del libro di Joyce che consuma il suo viaggio in un giorno, al Kafavis di Ritorno ad Itaca là dove spiega che il senso del viaggio non è l’approdo ma è il viaggio stesso, con i suoi incontri e le sue avventure.
Il contributo dell’arte è stato decisivo nel trasformare il mito, nell’adattarlo, illustrarlo, interpretarlo continuamente in relazione al proprio tempo.
Un grande viaggio dell’arte, non solo nell’arte. Una grande storia che gli artisti hanno raccontato in meravigliose opere. La mostra racconta un itinerario senza precedenti, attraverso capolavori di ogni tempo: dall’antichità al Novecento, dal Medioevo al Rinascimento, dal naturalismo al neo-classicismo, dal Romanticismo al Simbolismo, fino alla Film Art contemporanea.
Massimo Pulini a Santarcangelo di Romagna
C’è sempre qualcosa di interessante in quel posto magico chiamato Santarcangelo di Romagna.
Massimo Pulini (pittore e storico dell’arte, titolare della cattedra di Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna) presenta la sua mostra, “Il mito di Euridice“, presso l’affascinante spazio del Santabago.
“Il mito di Euridice è costruito sugli sguardi, un racconto sull’oscurità e il desiderio di luce, di visione. L’aspirazione di tornare a vivere è posta in opposizione al rivedere. Il cupio videre di Orfeo si dimostra più potente dell’attesa.
Santabago, con uno spazio espositivo che dal palazzo entra nelle grotte, dalla domus all’ade, è il luogo perfetto per una mostra dedicata a Εὐρυδίκη e Ὀρφεύς”.
immagine in evidenza, dalla mostra “Insieme al mondo, piangere, ridere, vivere” di Fabrizio Dusi (dal profilo Facebook del Museo Civico delle Cappuccine Bagnacavallo)