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“Apocalissi Gnostiche”: la rivelazione è a teatro

Maria Federica Maestri e Francesco Pititto ci parlano della nuova creazione di Lenz che debutta a Parma dal 23 al 31 ottobre per la 28° edizione del festival Natura Dèi Teatri

di Alberto Zanetti

Debutta a ottobre, dal 23 al 31, nei magnifici spazi della sala Majakovskij di Lenz Teatro a Parma “Apocalissi Gnostiche”, ultimo capitolo di un progetto quadriennale dedicato alle Sacre Scritture.
I creatori Maria Federica Maestri e Francesco Pititto ci guidano alla scoperta di questa composizione installativa, performativa e visuale che svela un tesoro testuale criptico e immaginifico.

“Apocalissi Gnostiche” porta a compimento un progetto quadriennale dedicato alle Sacre Scritture: come si è sviluppato questo percorso? Cosa ha portato a Lenz? Che significato ha concluderlo sotto il segno del pensiero gnostico?
Dopo “La Creazione” (2021), “Numeri” (2022) e “Apocalisse” (2023), “Apocalissi Gnostiche” prosegue la nostra ricerca sulle scritture del sacro e apocalittiche, dando corpo scenico ad alcuni Codici di Nag Hammadi, un antico tesoro testuale di recente e casuale ritrovamento (Egitto, 1945), costruito con sequenze narrative oscure e lampeggianti, denso di immagini criptiche, radicali e brucianti, che indicano strade ignote per arrivare alla nuova conoscenza.
La ragione della ricerca di Lenz nelle pieghe dei codici gnostici, la cui datazione risale al I e II secolo dopo Cristo, sta nel bisogno di essere narrati da una diversa apocalittica – così già processata dalla storia passata e presente – di essere “illuminati” da una nuova e divergente rivelazione. Le Apocalissi Gnostiche annunciano con parole-immagine l’avvento di un’altra sapienza umana_non-umana, senza età, senza ordine, senza volontà, una Sophia che ci invita a percorrere la via del paradosso linguistico per tornare alla radice ed essere guidati nelle tempeste della materia del presente da una “femmina nata dalla femmina”.

Gli scritti e la saggezza gnostica da un lato sembrano contestare, dall’altro completare il testo canonico: qual è il vostro punto di vista sotto questo aspetto e in che modo questa eccedenza di senso interroga il teatro?
Le “Apocalissi gnostiche” di Adamo, Pietro, Giacomo e Paolo rappresentano una fonte drammaturgica e imagoturgica inesauribile e potente, aldilà delle molteplici interpretazioni filosofiche e teologiche, poiché riconducibili alla realtà del mondo che viviamo, alla condizione umana di ogni singolo essere umano. Le correnti di idee ispirate allo gnosticismo fanno parte dell’immaginario collettivo contemporaneo, hanno prodotto nel tempo arte – da William Blake a John Milton –, mentre la figura femminile nel “Pistis Sophia” (Fede Sapienza), diventa oggetto di ricerca drammaturgica sorprendente, considerando che l’autorità, la facoltà di chiedere e la presenza delle donne non compare in nessun altro scritto religioso antico. In particolare, Maria Maddalena, incarnazione umana della conoscenza – gnosi – parla sessantasette volte, riceve le lodi di Gesù, spiega i passaggi che gli Apostoli maschi non capiscono e nella visione gnostica rappresenta la Sposa e controparte femminile di Cristo.

La parola “Apocalisse” nel nostro mondo contemporaneo ha una connotazione fosca come, del resto, il termine “crisi”. Sappiamo però che entrambe possono avere anche un significato positivo o comunque di apertura al nuovo e al cambiamento (apocalissi, letteralmente, come “rivelazione”): qual può essere la potenzialità di questo concetto, anche dal punto di vista creativo, in un panorama sociale come quello odierno permeato da un clima da “resa dei conti”, tra catastrofe ambientale e guerra?
Il pensiero gnostico “sulla fine della fine” introduce rivelazioni divergenti rispetto all’Apocalisse dell’Evangelista Giovanni: il campo di battaglia dell’immaginazione è ampio quanto l’universo, il rombo sismico che travolge ogni confine del reale raggiunge l’apice di un concerto di luce e di buio dove tutto pare fermarsi, le forme mutanti e lo spazio intorno, all’unisono con le strabilianti onde elettromagnetiche. Poi viene l’Agnello e il tempo si ferma, come sull’orizzonte degli eventi. Questo pensiero introduceva l’”Apocalisse” di Giovanni nella visione di Lenz e con le “Apocalissi Gnostiche” quell’orizzonte sarà varcato, quando ingoiate nel vortice del ventre oscuro saranno tutte le meravigliose luci delle battaglie catastrofiche e delle prospettive del nuovo mondo che l’opera rivelava agli esseri mortali. Dall’altra uscita del grande antro scuro, ancor più luminose risorgono immagini di altri mondi, altri universi, riemergono materia ed energia colossali, l’insieme degli eoni, la pienezza e totalità dei poteri divini, la scoperta della luce di verità, il Pleroma come grande illimitato buco bianco dal quale sono espulse, emanate e non generate nuove entità divine. L’immaginazione, la conoscenza, la filosofia si appropriano di nuovi archetipi, i testi originari diventano complessi composti alchemici, misteriosi, il verbo diventa criptico e necessita di nuove rivelazioni, di nuovi apostolici testimoni e profezie.
La questione dello scenario catastrofico, che sia la distruzione dell’ambiente o l’autodistruzione bellica, è stato tradotto in segni e nitide visioni nel precedente allestimento dell’Apocalisse di Giovanni (2023). Il pensiero che muove queste Apocalissi Gnostiche si concentra sulla rivelazione della crisi interiore: la perdita della nostra umanità. Qui si evoca la necessità di ristabilire la differenza tra bene e male, di distinguere tra le cose materiali che “generano passione di possesso” e le nostra “natura vera”; in questa nuova creazione cerchiamo di rendere visibile un pensiero critico e salvifico: un pensiero che ci spinge ad ibridarci con lo sconosciuto e l’estraneo, alla ricerca di una nuova radice, di una nuova umanità in armonia con gli elementi che ci circondano.

L’allestimento scenico si prospetta di grande impatto con la disposizione aerea di quattro gigantesche colonne che riproducono quelle della chiesa della Maddalena: perché questa scelta?
Nel grande spazio di archeologia industriale di Lenz Teatro, le colonne esfiltrate dalla facciata della Chiesa veneziana della Maddalena, la discepola sapiente prediletta da Gesù, sono sospese orizzontalmente in un interno segnato dal lavoro operaio al tempo del primo macchinismo industriale. Istituiscono uno spazio esorbitante, eccedente, deviante dalla regola della verticale utile ai fedeli inginocchiati, obbedienti e senza sogni. Si oppongono, così sdraiate e disarmate, all’ordinativo basso→alto, dura norma che gerarchizza la salita e la discesa nella piramide plastico-morale di corpi e volumi. Così inutilmente allineate, ci consentono di sfuggire alla vertigine del doppio collo lungo di madonna e marmo illuminazione del Parmigianino e all’orrore sublime del troncone annerito nel flagello di Caravaggio. Non c’è gloria nella realtà dell’Uomo che soffre sulla croce, ma solo tremendo, insopportabile dolore, per questo amiamo il Cristo raccontato nell’Apocalisse di Pietro che ci sorride dall’albero a cui è appeso e che, nell’ineluttabile sofferenza del supplizio, si fa sostituire da un “prestacorpo” a sua somiglianza.

Il poeta Marcello Sambati torna a collaborare con Lenz: come è avvenuto questo incontro? In che modo si incrociano i vostri percorsi?
Nel nuovo tempo apocalittico della gnosi l’attraversamento delle riflessioni/visioni immaginali che compongono il mondo arcaico e i nuovi mondi è solo per chi ha la “punta fine dell’anima”: solo per chi rende reale il sogno sarà salvo. È per questo che insieme alle artiste e agli artisti di Lenz – Sandra Soncini, Carlotta Spaggiari, Tiziana Cappella, Grugher – abbiamo chiesto a Marcello Sambati di essere nuovamente con noi in questa ricerca – dopo la messinscena di “Numeri” dal IV Libro della Bibbia nel 2022 – per dare corpo poetico alle molteplici figurazioni di queste Apocalissi Gnostiche, e, in particolare, a quella di Maria di Magdala. Attraverso un mondo intermedio, in una mediazione tra il divino e l’umano, in un luogo e tempo immaginali Maria Maddalena vede, ed è la prima a vedere quel che nessun altro può vedere. Può ascoltare e potrà rivelare, non può toccare ma solo potrà amare ancora di più colui che già ha amato e ama. Così alla ricerca di un contagio profondo con la potenza del pensiero gnostico di Maddalena, abbiamo “diffuso” la sua presenza scenica attraverso tre diversi stati sensibili: quello pulsante e multiforme di Sandra Soncini, quello misterioso e innocente di Carlotta Spaggiari, e quello visionario e lirico di Marcello Sambati.

Che tipo di esperienza possono aspettarsi gli spettatori e qual è, secondo voi, il loro ruolo in un’esperienza di questo tipo?
«Il linguaggio delle scritture sacre è quello delle immagini e dei simboli che appartengono ai sogni, piuttosto che ai concetti propri delle scienze. L’apparizione che si manifesta a Myriam di Magdala – interiormente ed esteriormente – è Spirito e Corpo, è ciò che fa di Myriam un ánthropos, un essere umano completo» (Il Vangelo di Maria, Maria di Magdala, Jean-Yves Leloup, Servitium editrice, 2011). Si pensi a come potrebbero mutare le sorti del mondo attuale se “gli esseri umani completi” attraverso l’immaginario collettivo, l’inconscio collettivo che rende l’io uguale al noi, lo stesso identico gesto originario, potessero rendere reale un’esistenza sempre sognata, un altro essere umano ancora più completo dentro una Natura da sempre completa.
Trasportati da queste turbolenze dell’immaginazione, convertiti al “divanetto dei pensieri di tortora” e ai baci senza corpo, gli spettatori galleggeranno insieme alle quattro colonne, come fanno i bambini quando sospendono con la mano le barchette o gli aeroplanini di carta e le spingono nel vuoto col soffio dell’innocenza. Per la ragion fisica del vero-finto anche lo spettatore – sempre ostaggio della realtà quotidiana – vivrà in uno spazio-tempo di pura intuizione, in un campo di pura sensazione in cui abbracciare l’ombra e ridere del buio.

Nel corso dell’evento sarà presentata anche l’opera “Apocalissi incoative” di Orsola Rignani: come si colloca questo lavoro nell’insieme dell’evento?
La poesia che scrive del bene e del male, dell’Angelo che sale e dell’Angelo che cade, dell’Angelo geloso di Lermontov che scaccia l’Angelo del Cielo «e nell’etere celeste/lento/sprofondava», l’arte in ogni forma complessa quanto complesso è l’essere umano, e in particolare il teatro che emana pensiero e azione tramite un corpo mortale come quello di Cristo e della Maddalena, queste rifrazioni di forma e materia e conoscenza rigenerano lo stato delle cose e del mondo, avvertono e formulano profezie sui destini di ognuno, come sentinelle che scrutano l’orizzonte per nuove apocalissi, per nuove immagini da immaginare e rendere reali. Vi è una rigenerazione e una immagine della rigenerazione. Bisogna veramente rinascere per mezzo dell’immagine. Cos’è la resurrezione? L’immagine deve risorgere per mezzo dell’immagine… (Vangelo secondo Filippo,67,10)
Con questa premessa abbiamo chiesto a Orsola Rignani, un’intellettuale raffinata, sensibile e poliforme, studiosa delle filosofie nell’orizzonte contemporaneo della prospettiva Posthuman, di presentare nella dimensione intima della Room (incontro con il pubblico dopo gli spettacoli) una performance visuale dal titolo “Apocalissi incoative”, forma ibrida tra opera artistica e pensiero filosofico. «Le apocalissi incoative sono nero che inghiotte e proietta, non colore come colore disseccato, disidratato, spazi-tempi diffratti e rifratti, inizi guidati da Sophia verso chiusure aperte, luci abbaglianti e opache, acque scolorite e polveri di vite orizzontali. Inizi di Sophia? Prigioni creative? Creazioni imprigionate?»

Immagine in evidenza: “Apocalissi Gnostiche”, Lenz Fondazione