di Kos Tedde
Stefano, Flavio, Antonio. Il ritorno agli eventi dal vivo ci ha regalato subito e in successione una costellazione ideale: Edda, Giurato, Rezza. In cinque giorni e a breve distanza: Parma, Carpi, Reggio Emilia. Allineamento astrale o ammiccamento di qualche divinità finalmente benevola?
Come incontrare compagni di strada
Tutti portavano qualche novità: per Edda, che ha suonato in uno scazzatissimo solo alla Giovane Italia di Parma durante il Pillole Festival, è in uscita un disco realizzato con Gianni Maroccolo. Giurato ha testato il nuovo disco in inglese (sembra molto bello…) ai Chiostri di San Rocco di Carpi nella rassegna Coccobello. Rezza, visto ai Chiostri di San Pietro di Reggio per Restate 2020 con il vecchio “Pitecus”, battaglia per le imposizioni post-pandemia e intanto prepara un nuovo spettacolo “sensazionale”. Al solito, è stato come incontrare compagni di strada.
“Ritorno degli eventi dal vivo”: suona falso, programmato e giornalistico. E se non ci fossero stati quei tre questo esordio l’avremmo volentieri rimandato. Perché – dato per scontato il sacrosanto diritto a campare di chi in queste cose ci lavora – il concetto di evento e di tutta l’a-socialità connessa era già squalificato da ben prima dell’epidemia. Parlo al plurale, ma quanti siamo? Tra le mie conoscenze pochi, molto pochi. E le comunità immaginarie e consolatorie dei social in questi casi non contano.
Dicevamo dei tre… Perché rappresentano (per me, per noi happy few…) qualcosa di speciale? Perché li accomuniamo – un po’ strumentalmente, d’accordo – in un novero ideale insieme a pochi altri? Ci sono le caratteristiche di ognuno: la voce di Edda; il cantautorato unico, di “classe” di Giurato; l’atletismo funambolico e la comicità mortifera di Rezza.
Ma non è solo questione di doti. C’è, ad esempio, la “nudità” di Edda, il suo esprimersi sul palco e nelle canzoni spudoratamente, senza calcoli (e, se li fa, non tornano…). Ci sono le storie raccontate – e reiterate – da Giurato in cui affiorano struggimenti, lotte, ferite, critiche al Capitale (vergogna…). E la sfida di Rezza/Mastrella al campo dall’arte placidamente asservita.
Un’esperienza che va oltre il palco
Con tutti e tre si fa un’esperienza che va oltre il palco. Né carriera o posa, però. Vite, piuttosto, non proprio rettilinee. E misteri: per dire, come sarà la quotidianità di Antonio Rezza? Attorno e attraverso le loro canzoni e i loro spettacoli, si agita una moltitudine di personaggi, idee, accadimenti. Ciò che si mostra sembra essere così solo una piccola parte di quello che ci stanno realmente trasmettendo. Come se, incontrandoli, si alzasse una specie di vento. E tu spettatore finalmente respiri, senti e/o impari, te ne vai diverso, anche se non lo chiami evento, non hai lo spritz in mano e non sei troppo pettinato… Insomma qualcosa che serve: non solo un passatempo, un lavoro, un piacere accademico o intellettuale, un consumo culturale. Sana pop culture, magari?
E poi questi tre possono parlare a tanti. Ma questa “universalità” si rovescia nel suo contrario: non piacciono a tanti. Generano fraintendimenti, fastidi, ironie: troppo rozzi, troppo divertenti, troppo vecchi, troppo Novecento… E (anche se Rezza/Mastrella è Leone d’Oro) troppo poco vincenti: sia nei fatti che nell’immagine. Ma io mi ricordo che una volta tutti questi erano meriti.
Qualcosa al di là o al di di qua dello storytelling
Forse allora abbiamo bisogno di loro proprio perché siamo ormai vecchi (il sottoscritto ne ha appena fatti 45). O forse perché, da sfigati e rancorosi, non ci siamo dimenticati che potrebbe esistere anche qualcos’altro al di là o al di qua dello storytelling e dell’upgrade politicamente corretto/scorretto ovvero di quello che Fassbinder chiamava il “pericolo che incombe continuamente, quello di cedere per stanchezza ad una grigia realtà che sembra concepita nella galleria del vento”.
nella foto in evidenza, Edda (dalla pagina Facebook di Pillole Festival)