di Alberto Zanetti
Andrea Antinori è uno dei più talentuosi illustratori per l’infanzia della nuova generazione. Appena trentenne, originario delle Marche, ma di stanza a Bologna, ha già all’attivo numerossimi titoli e diversi importanti riconoscimenti internazionali.
Sabato 3 dicembre Antinori arriverà alla Biblioteca di Baiso (alle 17.30, ingresso libero) sull’Appennino reggiano per un nuovo appuntamento della rassegna Autori in Prestito curata da Paolo Nori e promossa da ARCI Reggio Emilia.
In attesa di incontrarlo dal vivo abbiamo scambiato qualche parola con lui.
Hai compiuto un percorso di studi legato a quello che poi sei diventato, formandoti anche all’estero: la scuola ti è servita o ciò che conta in ambito creativo viene, sostanzialmente, da se stessi?
Nell’ambito creativo è importante trovare il proprio modo naturale di raccontare le cose, ma è proprio attraverso la scuola e la formazione che sono arrivato a questo risultato; la scuola è stata indispensabile anche semplicemente per capire che la soluzione doveva partire dalle mie esperienze e dal mio carattere, e non da una struttura costruita a tavolino. La scuola stessa è esperienza, non solo serve per la propria competenza, ma è una fonte di ricchezza in generale: io ad esempio ho studiato sei mesi in Spagna, ho imparato lo spagnolo, e oggi sono riuscito a stringere tantissime amicizie e rapporti lavorativi nei paesi dove si parla questa lingua!
I tuoi disegni, le tue storie si ispirano al mondo animale: balene, lemuri, alci… Sei circondato da creature più o meno esotiche anche nella vita… reale?
Nella vita reale sono circondato giusto da un cagnetto di nome Mirto, e da un pappagallo (una calopsitta per l’esattezza) che non ho assolutamente comprato, ma che ho salvato nel mio giardino. Probabilmente si era persa, fuggita da qualche casa o abbandonata dal primo proprietario. Sono contrario all’adozione di animali esotici nella propria abitazione, è un mercato che non dovrebbe esistere. Al di là dei miei coinquilini (intendo quelli non umani), gli animali sono sempre stati parte della mia vita, anche se non sempre fisicamente. È un’ossessione che ho fin da bambino, e tutt’ora spesso fanno parte delle mie storie.
La letteratura per l’infanzia è un genere particolare, un segmento di mercato, una limitazione che aiuta a creare o uno stato dell’anima? In futuro pensi di misurarti anche con altri ambiti?
In realtà quando realizzo un libro, o anche semplicemente quando lo illustro, non penso mai che sia indirizzato ai bambini, è il mio modo naturale di raccontare le storie. Allo stesso modo, non credo che i miei libri li debbano leggere solo i bambini, sono per quelli a cui piacciono. Io stesso compro gli albi illustrati non per una questione di aggiornamento professionale, ma come letture che voglio intraprendere. Per intenderci, se domani mi commissionassero una biografia di qualche serial killer scritta da Carlo Lucarelli (commissione abbastanza improbabile indirizzata a me, diciamocelo), il mio segno probabilmente non cambierebbe più di tanto. Cercherei le atmosfere giuste e lo spirito per affrontarlo, ma non mi comporterei differentemente da quando ad esempio illustro Gianni Rodari.
“Un levrerio ben nascosto”, “A cosa servono i gatti”, “La storia del pianeta blu”, “L’oranger”… Hai ormai firmato tanti libri, da solo o in coppia con scrittori: qual è il lavoro che ti è rimasto nel cuore? Quale il “partner” a cui sei rimasto più legato?
È difficile stabilire quale libro ho nel cuore, rappresentano tutti momenti della vita differenti, o esperienze specifiche. Ognuno è stato una prova diversa con me stesso: “Il libro delle balene” è stato il tentativo di realizzare un libro divulgativo senza essere un biologo (un libro pensato per me stesso da bambino), “La grande battaglia” è stato il libro più “semplice” e più lungo che ho mai realizzato, “L’arancio” l’occasione di approcciarmi al genere poliziesco, e “Un levriero ben nascosto” è stata la prima volta che ho raccontato una mia esperienza diretta. Come si fa a scegliere? Anche per gli autori, sicuramente ce ne sono stati tanti a cui sono rimasto legato, e con i quali si è creato un bel feeling narrativo: Cristina Bellemo, Paolo Nori, Annamaria Gozzi, Bruno Cignini… Ora sto lavorando a due testi molto belli, uno di Angelo Mozzillo e l’altro di Daniele Movarelli, sono molto fortunato per quanto riguarda gli autori che mi assegnano.
Sei bolognese, ma nato a Recanati: mai pensato a un progetto che avesse al centro il suo cittadino più illustre, il “giovane favoloso”?
Sinceramente no, forse anche perché basta essere nato a Recanati per sentire nominare Leopardi ogni volta che mi presento (scherzo!). Però ad esempio il fatto di essere cresciuto — anche se a distanza — nelle Marche, per me è da sempre uno stimolo. È un territorio a cui sono molto legato, nel quale mi piace sempre molto andare, e che anche visivamente ogni tanto fa parte dei miei libri.
La scorsa primavera hai esposto le tue tavole al MAMBO di Bologna. Che esperienza è stata? La ritieni qualcosa di eccezionale o quelle della mostra e del museo sono dimensioni che fanno parte integrante del tuo percorso?
Nel mio caso, di solito le mostre sono l’occasione per presentare il mio lavoro, si corre sempre molto, quindi sono state poche le occasioni in cui ho avuto il modo e il tempo di studiare un allestimento che desse qualcosa in più al di là delle mie tavole esposte. Una volta con la mia amica Noemi Vola abbiamo costruito un ET peluche alto forse tre metri per una mostra al Treviso Comic Book Festival, è stato molto divertente!
Nell’incontro di Autori in Prestito parlerai dei libri, dischi film che ti hanno formato… Ma adesso che stai leggendo/ascoltando?
Ho appena finito di leggere entrambi i libri di Viola Ardone, davvero bellissimi! Prima di procedere con il prossimo romanzo, in mezzo ci ho messo la lettura di “Gus” (Christophe Blain), un fumetto western di cui possiedo quattro volumi, e che non riesco mai a leggere, perché ho sempre qualche libro da concludere (come lettore intendo)! Invece per quanto riguarda gli albi illustrati, l’ultimo che ho preso e che mi è piaciuto molto è “Edward vuole un cavallo” di Ann Rand e Olle Eksell, edito in Italia da Lupoguido.
Immagine in evidenza: Andrea Antinori