In occasione dello spettacolo “Max Collini legge l’indie” – che va in scena venerdì 7 agosto alle 21.30 al Labirinto della Masone di Fontanellato per la rassegna Storie prodigiose – abbiamo chiesto a Max Collini di raccontarci l’origine del progetto, le reazioni degli artisti citati, la cosa più indie che ha fatto e perché non ha ancora pubblicato un romanzo.
“Sono stato indie prima di te” si legge sulla sua maglietta. E non ha tutti i torti Max Collini, autore dei testi e voce degli Offlaga Disco Pax poi del progetto Spartiti insieme a Jukka Reverberi. Dopo tutto, come recita un’altra t-shirt, “Anni zero, indie vero”.
È il 2003 quando gli Offlaga Disco Pax salgono per la prima volta su un palco, al Calamita di Cavriago per il Concorso Daolio. Il primo album, “Socialismo tascabile”, uscirà solo due anni dopo e nel frattempo il collettivo di Reggio Emilia riempie comunque i club di tutta Italia, cosa che continuerà a fare negli anni successivi. All’epoca “riempire” significava portare decine, nella migliore delle ipotesi, poche centinaia di persone. Poi è successo qualcosa, l’indie si è scoperto pop o il pop ha scoperto l’indie. I Thegiornalisti sono arrivati al grande pubblico, è uscito “Mainstream” di Calcutta che qualche anno dopo ha riempito l’Arena di Verona.
In “Max Collini legge l’indie” la voce degli Offlaga Disco Pax legge a suo modo, con buona dose di ironia, i testi di molti brani “indie” di successo. Oltre a Thegiornalisti e Calcutta, sul leggio di Collini ci sono canzoni di Coez, Coma Cose, i Cani, Gazzelle, Lo Stato Sociale, Achille Lauro, Young Signorino, tra i protagonisti della “svolta pop” nella musica indipendente italiana.
Ci puoi spiegare come è nato il progetto “Max Collini legge l’indie”? Ti aspettavi che – lockdown a parte – potesse incontrare questo successo?
Nel 2019 il mio socio in affari musicali, Jukka Reverberi dei Giardini di Mirò, è andato in tour con la sua band per diverso tempo e abbiamo messo in sonno il nostro duo denominato “Spartiti” dopo un album, due Ep e decine e decine di concerti dal vivo per quattro anni consecutivi. Mi sono ritrovato nella condizione di poter dare sfogo alla mia verve di intrattenitore solitario, chiamiamola così, verve che per inciso non sapevo di possedere. Questo spettacolo avrebbe dovuto essere qualcosa di leggero da proporre per puro divertimento, ma gli eventi mi hanno preso un po’ la mano e sono arrivate le comparsate a Propaganda live, a Radio Deejay e molte date in giro per l’Italia. Di recente ho visto ovunque un video di Luca Ward, uno dei migliori doppiatori italiani, in cui recitava, istigato da Netflix, il testo di “Riccione” dei Thegiornalisti. Ci tengo a dire che sono stato indie prima di Luca Ward e anche prima di Tommaso Paradiso.
Diversi artisti di cui racconti sono venuti a vedere lo spettacolo, immaginiamo… Quali sono state le loro reazioni?
Di solito si divertono molto, qualcuno l’ho avuto anche come ospite sul palco, come Lodo Guenzi a Torino appena prima del lockdown e Clavdio a Roma nel dicembre scorso. Credo che il taglio ironico e la leggerezza dell’intenzione siano evidenti e che io sappia nessuno si è apertamente lamentato del trattamento. Non so scrivere canzoni nel senso classico del termine e affrontare quelle degli altri in questa maniera non ortodossa è il mio modo di mettere insieme la cover band che, per vostra fortuna, non avrò mai. A Torino tra il pubblico c’era anche Guido Catalano, ma non so se questo possa deporre a mio favore.
Nei tuoi testi e nei tuoi racconti c’è passione, ‘partecipazione’ e tanta ironia. Un’ironia anche caustica, ma non cinica: pensi che questa assenza di cinismo sia una caratteristica anche dei personaggi e del mondo di cui parli?
Ognuno è quel che è, cinismo compreso. Non ne ho incontrato molto nel mio cammino artistico sia personale che sociale, credo di essere stato fortunato in questo. Credo che il cinismo esista e che sia distribuito in dosi strampalate in ogni contesto, non solo sui palchi del nuovo pop italiano.
In molti star dell’indie – Bugo, Zen circus, Stato Sociale, Godano, prima ancora Bianconi – hanno esordito nella narrativa: perché tu non l’hai ancora fatto? Sicuramente hai già ricevuto proposte…
E poi Dente, Maria Antonietta e altri. La lista è davvero lunga. Sono un uomo tremendamente pigro e credo di poter dare il meglio di me nell’ambito del racconto breve di una o due pagine: massimo risultato col minimo sforzo. Ho in testa da diversi anni l’idea per un romanzo, prima o poi ce la farò.
Qual è la cosa più indie che hai fatto? E quella meno?
La cosa più indie che ho fatto, nel senso attuale e a volte surreale del termine, è stata aprire – da solo e senza essere annunciato – il concerto de Lo Stato Sociale al PalaDozza di Bologna nel novembre del 2015. Avevo scritto un racconto appositamente per quella serata e l’ho declamato per sei minuti consecutivi mentre cinquemila persone aspettavano i loro idoli. Tutto molto bello, ma non lo farò mai più. La cosa meno indie che ho fatto è recitare in diretta nazionale su Radio 2 Rai il testo di “Si può dare di più” di Morandi/Ruggeri/Tozzi. Tranquilli, non farò mai più neanche questo.
Per finire: cosa hai letto e ascoltato ultimamente che ci vuoi consigliare?
Ho finito di leggere stanotte “Sto ascoltando dei dischi” di Maurizio Blatto, semplicemente delizioso e una della cose più divertenti che siano capitate sul mio comodino negli ultimi anni. Come ascolto consiglio l’album di Edda e Gianni Maroccolo “Noio; volevam suonar”, una coppia davvero meravigliosa.