di Max Cavassa
Come è andata con i nostri consigli di dischi e libri precauzionali? In attesa che ripartano i concerti, riaprano i cinema e i musei, ecco 10 film per questo fine settimana, se deciderete di passarlo a casa. Tutti abbiamo una lista di film che ci ripromettiamo di vedere “quando avremo tempo”. Forse quel momento è arrivato? Buona visione.
Frankenstein Junior (1974) di Mel Brooks
Quante volte l’avete già visto? Dite la verità. Due, sei, dieci, quindici volte? Chi scrive ha perso il conto, probabile tra le dieci e le quindici. Del resto questa formidabile parodia partorita dalla giocosa ditta Brooks & Wilder è lì a nostra disposizione per farci sentire bene, per farci ridere a crepapelle insieme a quel folle di Marty Feldman, l’adorabile sinistro Igor, anzi, Aigor. E se poi pioverà, pazienza.
L’insulto (2017) di Ziad Doueiri
Come districarsi nei conflitti millenari mediorientali? Come capirci qualcosa, avere qualche linea guida, in particolare di quella fascia est del nostro amato Mediterraneo? Ziad Doueiri ci porta nella sua Beirut, in Libano. Un banale litigio di quartiere tra il libanese cristiano Tony e il rifugiato palestinese Yasser si trasforma, in un micidiale crescendo, in una questione nazionale che divide un intero paese di culture e religioni diverse, già segnato in passato da una guerra civile. Alla fine, qualcosa in più capiamo di quei conflitti millenari, sì. Ma molte altre cose si complicano. Non si capisce mai abbastanza.
Il Paradiso può attendere (1978) di Warren Beatty e Buck Henry
Intanto, è sempre stato un titolo al quale sentirsi vicino. Come cantava Brassens, sì va bene, dobbiamo morire, ma di morte lenta, con calma. In questo caso, Beatty impersona un giocatore di football americano che ha un incidente e muore, anzi, quasi. Il film ha il pieno registro e ritmo della commedia, con diversi momenti dove si ride di gusto. In realtà è un perfetto Punt e Mes di riso e tristezza, con una quadriglia di attori all’apice (Beatty, James Mason, Julie Christie e Jack Warden) ed una frase indimenticabile: «È in forma Joe!».
Wajib – Invito al matrimonio (2017) di Annemarie Jacir
Un altro film imperdibile sul Medioriente mediterraneo. Qui siamo a Nazareth, Distretto Settentrionale di Israele (Galilea), a due passi dai territori occupati, con maggioranza della popolazione araba, un terzo cristiani, due terzi musulmani. Wajib significa “dovere” ed il dovere in questo caso si riferisce alla tradizione palestinese di far consegnare di persona a padre e fratelli della sposa gli inviti di matrimonio. Il film racconta questo “viaggio” di Abu Shadi (padre) e Shadi (figlio), che vagando di casa in casa riscoprono vecchie tensioni legate alla situazione dei territori. I due attori sono anche padre e figlio nella vita. Una pellicola di rara asciutta dolcezza.
Amarcord (1973) di Federico Fellini
Dire qual è il film più bello di Fellini è come dire qual è il più bel disco dei Beatles, insomma, si fa fatica a dire. “Amarcord” ci va comunque vicino e magari un po’ conta il fatto che un emiliano-romagnolo si senta più vicino a certe tematiche. Poi, ripensi che ha vinto l’Oscar a Los Angeles e allora di tutte ‘ste menate local ne puoi fare anche a meno. “Amarcord” è la creatura di due amici, Federico e Tonino Guerra, dei quali si festeggia il centenario della nascita. “Amarcord” sono i ricordi di tutti, lì che galleggiano tra una nevicata, una nebbia fitta e le manine in primavera.
Oci ciornie (1987) di Nikita Sergeevič Michalkov
E quando si parla di atmosfere felliniane, non può non esserci di mezzo questo capolavoro di Michalkov, il quale per giunta coinvolge Marcello Mastroianni (alter ego di una vita del regista riminese) in un ruolo memorabile, che lo vedrà premiato anche a Cannes. Marcello (Romano, nel film) incontra alle terme di Montecatini una signora russa dagli splendidi occhi neri (Oci ciornie, appunto). S’incontrano una notte e si perdono e Marcello parte per la Russia a cercarla. Amore, steppa, Russia zarista, nomadismo, gioco, menzogna, una pellicola lenta e maestosa tratta da alcuni racconti di Cechov.
Giù la testa (1971) di Sergio Leone
Se si dovesse pescare nella storia del cinema dei momenti indimenticabili, allora ci starebbe a pennello quello dove compare James Coburn con la sua motocicletta, a rompere le uova nel paniere al campesino farabutto interpretato da Rod Steiger. Coburn è un altro esempio dello “straniero” raccontato da Leone nei suoi film, il tizio che arriva da chissà dove e poi qualcosa succede. Leone è qui alle prese con la rivoluzione messicana, ma racconta soprattutto la storia di una delle amicizie più belle e improbabili della storia del cinema. E poi Sean Sean, quella colonna sonora lì, cosa si vuole di più?
Master & Commander (2003) di Peter Weir
Questo film, al cinema, fu visto essenzialmente da un pubblico “sbagliato”: presentato come un blockbuster, deluse quel tipo di pubblico. Del resto, da uno come Peter Weir non ci si può aspettare mai un racconto monolitico, ma una trama piena di stratificazioni. Eccole, le stratificazioni: la vita a bordo di una fregata inglese ad inizio ‘800, la caccia a una specie di nave fantasma, l’ignoto, l’amicizia e il dovere tra capitano e dottore, la ricerca scientifica, la follia della disobbedienza agli ordini, la scoperta di nuove terre, l’astuzia, l’onore, la musica come balsamo di una vita chiusa nell’immensità. E molto di più.
Visages Villages (2017) di Agnès Varda e JR
Di questa sporca decina,”Visages Villages” è l’unico documentario o, meglio, un non-film, come del resto ce ne sono nell’opera omnia di Agnès Varda, la geniale regista che impreziosiva la già preziosa rue Daguerre parigina. Agnès s’imbarca in un viaggio nella Francia profonda assieme a JR, “artivista urbano” come lui stesso si definisce, sicuramente un grande tecnico del collage fotografico. Il risultato è un’ora e mezza di poesia, di straniamento, di amicizia che cresce tra la nonnina-turbo Agnès e il trentenne artista hipster. Un inno allo stupore, alla vita.
Oltre il giardino (1979) di Hal Ashby
La storia di Chance il giardiniere, interpretato da un superlativo Peter Sellers, è una storia senza tempo di equivoci, equivoci che però qui vengono spinti al massimo, proiettando uno sconosciuto e candido giardiniere analfabeta rimasto senza lavoro verso la celebrità. Il come non ve lo diciamo. Diciamo che è un film sempreverde, dove tutti i temi a noi contemporanei come il parossismo dei media e la creazione di idoli senza un background li ritroviamo in questa straordinaria favola triste e come sospesa.
(28 febbraio 2020)