di Alberto Zanetti
Due sono una moltitudine diceva Gilles Deleuze (e, a dire il vero, anche San Matteo: “dove due o tre sono uniti nel mio nome…”).
Antonio Rezza – Flavia Mastrella: uno sarebbe il perfomer, l’altra si occuperebbe della parte visiva e scenografica… In realtà l’apporto dell’uno si confonde con quello dell’altra, nozioni come contenuto, testo e regia sono bandite e il risultato non coincide con la somma delle parti. Ciò che conta è l’effetto.
In provincia abbiamo incominciato a conoscerli negli anni ’90 con le proiezioni “carbonare” su RAI3, nella trasmissione di culto “Troppolitani” e al Festival di Bellaria. Poi, quando sono arrivati gli spettacoli, è stato chiaro che ci trovavamo di fronte a qualcosa di decisivo.
“Pitecus“, “Io“, “Photofinish“, “Bahamut” “Fratto X“, “7 14 21 28“: sarebbe impossibile raccontarli. E, allora, se capitano dalle vostre parti – domenica 15 febbraio saranno al Lux di Fornovo con “Io” – non mancate l’occasione.
Ricordo i vostri primi passaggi televisivi: eravate degli ufo. Ora mi sembra che abbiate addirittura un “vostro” pubblico. In che punto siete della vostra “evoluzione”, ammesso che vi riconosciate in questa categoria?
Rezza: Il pubblico ce l’abbiamo sempre avuto. A metà anni ’90 facevamo il tutto esaurito a Roma e Milano. C’era di tutto: abbonati e ragazzi dei centri sociali. Il pubblico si è trasformato, non è invecchiato con noi e non morirà con noi. Avendo un linguaggio contemporaneo il nostro pubblico è sempre più giovane. Nelle grandi città vengono a vederci sedicenni e diciassettenni. Significa che stiamo lavorando bene: ci evolviamo con il linguaggio di chi sta nascendo adesso.
Mastrella: Ogni volta che abbiamo trovato una formula di messa in perfomance l’abbiamo poi cambiata. Abbiamo fatto dei lavori che interagiscono profondamente con il pubblico, altri che mantengono un distacco. Ci siamo rinnovati per sentirci sempre all’inizio delle cose.
Alle vostre esibizioni si assiste con trepidazione. Come davanti a un evento sportivo: non sai cosa succederà, non sai se vinci o se perdi.
Rezza: Abbiamo un contratto non scritto con chi viene a vederci. Non li fregheremo mai. Non perché siamo onesti. È una forma di rispetto verso noi stessi come artisti. Se mai dovessimo fare qualcosa di brutto il pubblico non lo vedrà. Se va in scena, il pubblico può esser certo che sarà eccellente; ma non potrà star tranquillo sull’effetto… Concordo: è come andare a vedere una partita, una battaglia o una guerra. Non si sa come andrà finire. C’è un’unica certezza: chi ha realizzato l’opera non ha previsto il gusto del pubblico. Questo è fondamentale. Tutto il resto non è arte, ma menzogna e commercio.
Mastrella: A noi piace così: vai a vedere una cosa per cui puoi aspettarti di tutto o anche niente.
Nei vostri spettacoli si ride molto. Ma è una risata particolare, nervosa. Siete a voi a provocarla, eccitarla e tramortirla.
Rezza: Solo pittura, scultura e musica possono in alcuni casi avvicinare la potenza del riso che è superiore a qualunque forma narrativa. Non sto parlando del riso in generale; ma di quello che provochiamo noi. Il riso è qualcosa che muove la parte più diabolica dell’essere umano. Se riesci a fare ridere in quel modo porti il corpo a smottare. Da spettatori a smottatori. Chi non riesce a scardinare il corpo di chi guarda, chiaramente ripiega sulla descrizione, sulla commozione, sul personaggio. Ma, appunto, è un ripiego. Bisognerebbe avvicinare l’arte allo sport dove è più difficile la mistificazione. Se Maradona fa 5000 palleggi e Bruscolotti ne fa dieci, è evidente che uno è più forte tecnicamente dell’altro. Nell’arte ci sono intellettuali che mistificano e assegnano il valore in base al loro grado di corruzione.
Mastrella: La disperazione, i problemi assurdi che fermano i cervelli se li porti al limite dell’esasperazione diventano comici. Antonio è un grande comunicatore che riesce a provocare certi stati emotivi attraverso i colori e la forma.
Aborrite il teatro civile, ma se intendiamo davvero trovare una “rappresentazione” della nostra contemporaneità dobbiamo vedere i vostri spettacoli. Quindi, in fondo, fate anche… teatro di denuncia?
Rezza: Più che altro facciamo denuncia delle carenze altrui. Il teatro di denuncia è un teatro inferiore perché deve condividere con chi guarda un messaggio a priori. È più semplice, è più facile tecnicamente. Hai già il pubblico dalla tua parte. Abbandonare un palco dopo tre minuti e chiudersi a gridare dentro un bagno (come in Fratto X) è più difficile. Sono discipline differenti. Uno non si incazzerebbe se una volta per tutte il teatro civile venisse pubblicamente considerato di serie B e il teatro di invenzione di serie A.
Mastrella: L’estetica diversa è già un disturbo. Adesso tutto è molto omologato. Per noi è anche una forma di lotta. Cercano di farci pensare che non esista niente di nuovo. Noi diciamo: si possono fare le cose anche in modo diverso.
Come lavorate insieme? Vi dividete i “compiti”?
Mastrella: Ormai è tutto mischiato, non ci si capisce più niente… I meccanismi sono infiniti perché ogni volta proviamo qualcosa di diverso. Usiamo la forma, il colore, la parola, il corpo. Il linguaggio del colore, le variazioni cromatiche, parlano direttamente alla psiche. Per tanti anni questo è stato sottovalutato. Oggi con la dimestichezza che c’è con l’immagine grazie alle nuove tecnologie, mi pare che il nostro linguaggio si comprenda molto meglio.
I vostri spettacoli sembrano meccanismi fluidi, perfetti, naturali. Immagino, al contrario, che necessitino di una grande elaborazione…
Rezza: Certo, ci mettiamo un anno e mezzo per preparare lo spettacolo. Poi facciamo le prove aperte perché il ritmo nasce e cresce con chi vede. A prescindere da chi guarda.
foto di Martina Villiger
Cinema e video: cosa state facendo?
Rezza: Giriamo sempre delle cose, le montiamo e non le facciamo uscire perché sappiamo che si noterebbero… Avendo il teatro che ci copre le spese per sostenere l’attività, non sentiamo la necessità di mandare i nostri film allo sbaraglio. Siamo indipendenti e diciamo quello che diciamo: nessuno si mette in casa chi rompe i coglioni. Ma noi non rompiamo i coglioni: difendiamo quello che facciamo.
Mastrella: Abbiamo quasi finito un film che stiamo girando dal 2007 in Puglia. È un… kolossal on the road girato in digitale, la storia di un killer che uccide le tradizioni. Si chiama “Samp”. Ci sono ancora gli attori che hanno recitato all’inizio: non è servito invecchiarli con il trucco…
Gidio, Mario, Rita e Rocco… che rapporto intrattieni con i tuoi personaggi?
Rezza: Quando gli spettacoli nascono il rapporto è quasi allucinatorio, me li porto a casa la notte… Rimango a fissare nella mente quello che ho fatto. Sono cose che rimagono… situazioni abbastanza alienanti. Ma è giusto così: è un processo invasivo. Solo mentre portiamo in giro lo spettacolo mi rendo conto delle “assurdità” che stiamo facendo. Però a quel punto le allucinazioni non sono più con me. Flavia dice sempre che l’opera è figlia dell’opera. Una volta che viene sdoganata non appartiene più a noi.
(10 febbraio 2015)
Foto da www.facebook.com/Rezzamastrella