Favola, per antonomasia, dell’esotismo orientale, ricca di colpi di scena, agnizioni e promesse ferali, Turandot è divenuta nel tempo – da Gozzi a Puccini – l’emblema del nostro immaginario verso la grande Cina. Per la prima volta, ora, un regista italiano, Marco Plini, proprio a partire dalla novella del principe Calaf e della principessa Turandot, si confronta con la tradizione dell’Opera di Pechino. Lo spettacolo è un sottile gioco di specchi tra due mondi, lontani in apparenza, ma reciprocamente attratti e affascinati l’uno verso l’altro. Da un lato, dunque, la raffinata arte attoriale dell’Opera di Pechino, abilissima mescolanza di recitazione, danza e canto, tesa a una continua perfezione del gesto artistico, dall’altra, invece, lo sguardo prospettico d’invenzione tutta italiana, il gusto visionario e la lunga sapienza d’ordire scene illusionistiche, abilità divenuta patrimonio del teatro europeo. Questa Turandot – con musicisti e attori dell’Opera di Pechino e musicisti italiani – prosegue la fortunata esperienza italo-cinese del Faust: lo spettacolo in lingua cinese con sovratitoli in italiano, va in scena da mercoledì 23 fino a domenica 27 gennaio al Teatro Storchi di Modena.